mercoledì 9 gennaio 2013

Pugnette più consapevoli

Primo post che non sia volante o in territorio a stelle e hamburger.
Di nuovo dalla mia scrivania, anche se tramite piccì nuovo.
Sono tornata da tipo due settimane, nel mio guscio, e l'unica cosa che mi pare di aver fatto è esser regredita.
Ho passato una settimana a rotolarmi nel letto fino alle 5 di mattina, col cervello che faceva la spaccata tra il nuovo continente e il vecchio, a svegliarmi a ore improbabili, a desinare a orari davvero poco umani, a non avere progetti. A rispondere alle domande delle persone con un "umphf" di circostanza, al pensare alla mia imminente laurea come una mucca pensa al momento del macello, a propormi ogni maledetta sera di dormire presto e svegliarmi presto per studiare, senza aver mantenuto il proposito manco una volta. Ho ritrovato un pò della voglia di fare, quella che ti fa sentire piena di vita, manco fossi Tonino Guerra e il suo ottimismo che è il profumo della vita, quando mi hanno portata nella nuova redazione per il giornale online con cui collaboro.
Perchè sì, sognare un fa mai male, no?
Ho avuto una di quelle giornate superproduttive conclusa con una lezione di zumba per buttare giù 'sta buzza da Homer Simpson che mi è venuta dopo svariati camion di Budwiser.
Ma sono stata in grado di cambiare umore nello stesso tempo con cui Sara Tommasi si cala le mutande, quindi tempo il mattino dopo, con sveglia ad un'ora improbabile, mi sono lasciata riportare nel mare di apatia in cui mi autoseppellisco spesso.
Insomma, sono sempre la solita svanita che mi fa incazzare. E più mi faccio incazzare più mi deprimo, più mi vittimizzo e più non combino nulla.
Era da un bel pò che non mi sentivo così, sarà che l'aria di casa per molte cose rinvigorisce (annuncio cum sommo gaudio che ho perso due chili) per altre mi stende a terra come solo un provincialismo semisnob può fare.
Da una parte mi ritrovo a camminare per le (tre strade) di casa con gli occhi che si meravigliano di dettagli che ci sono sempre stati e io non avevo mai notati, dall'altra ogni mattina mi sveglio con uno spleen esistenziale che manco Baudelaire nelle sue giornate peggiori.
Sarà che la coccola fa piacere, ammorbidisce, ci riporta all'infanzia, ci vizia e riempie i nostri vuoti, ma nello stesso tempo annienta le battaglie già vinte con l'indipendenza.
Assopisce il neurone, impigrisce.
Se non sono forzata dagli eventi, io mi lascio cullare dalla mia nullafacenza, senza ritorno, senza possibilità di redenzione.

Una cosa, però, ho imparato laggiù, in quel posto bruttino e provinciale che ho chiamato Casa per quattro mesi, che nessuna pigrizia, nessun vizio e nessuna brutta abitudine riuscirà a strapparmi via.
Che, prima di tutto, devo fare i conti con me.
Che poco importa fare i conti con gli altri, se prima di tutto non ci sei tu.
Che non c'è nessuno che io debba temere più di me, del mio giudizio e del mio benessere.
Cosa che non avevo mai calcolato.
Il mio giudizio era sempre una conseguenza degli eventi, della catena di persone che bisogna compiacere nella vita perché-sai-ormai-siamo-qui-e-dobbiamo-sorridere, dell'essere a posto davanti a chi sai che ti ha sempre giudicata e sempre lo farà, o forse lo farà solo nella tua testa.
Insomma, sono sempre stata in balia di una lunga serie di pugnette mentali che si fa sempre una fatica boia a lasciarsi alle spalle.
Non dico di averle seminate in terra statunitense e lasciate lì a beneficio del prossimo, perchè spesso me ne porto dietro ancora una svariata quantità, ma sono pugnette più consapevoli.


Saran traguardi, no?

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Pugnette più consapevoli

Primo post che non sia volante o in territorio a stelle e hamburger.
Di nuovo dalla mia scrivania, anche se tramite piccì nuovo.
Sono tornata da tipo due settimane, nel mio guscio, e l'unica cosa che mi pare di aver fatto è esser regredita.
Ho passato una settimana a rotolarmi nel letto fino alle 5 di mattina, col cervello che faceva la spaccata tra il nuovo continente e il vecchio, a svegliarmi a ore improbabili, a desinare a orari davvero poco umani, a non avere progetti. A rispondere alle domande delle persone con un "umphf" di circostanza, al pensare alla mia imminente laurea come una mucca pensa al momento del macello, a propormi ogni maledetta sera di dormire presto e svegliarmi presto per studiare, senza aver mantenuto il proposito manco una volta. Ho ritrovato un pò della voglia di fare, quella che ti fa sentire piena di vita, manco fossi Tonino Guerra e il suo ottimismo che è il profumo della vita, quando mi hanno portata nella nuova redazione per il giornale online con cui collaboro.
Perchè sì, sognare un fa mai male, no?
Ho avuto una di quelle giornate superproduttive conclusa con una lezione di zumba per buttare giù 'sta buzza da Homer Simpson che mi è venuta dopo svariati camion di Budwiser.
Ma sono stata in grado di cambiare umore nello stesso tempo con cui Sara Tommasi si cala le mutande, quindi tempo il mattino dopo, con sveglia ad un'ora improbabile, mi sono lasciata riportare nel mare di apatia in cui mi autoseppellisco spesso.
Insomma, sono sempre la solita svanita che mi fa incazzare. E più mi faccio incazzare più mi deprimo, più mi vittimizzo e più non combino nulla.
Era da un bel pò che non mi sentivo così, sarà che l'aria di casa per molte cose rinvigorisce (annuncio cum sommo gaudio che ho perso due chili) per altre mi stende a terra come solo un provincialismo semisnob può fare.
Da una parte mi ritrovo a camminare per le (tre strade) di casa con gli occhi che si meravigliano di dettagli che ci sono sempre stati e io non avevo mai notati, dall'altra ogni mattina mi sveglio con uno spleen esistenziale che manco Baudelaire nelle sue giornate peggiori.
Sarà che la coccola fa piacere, ammorbidisce, ci riporta all'infanzia, ci vizia e riempie i nostri vuoti, ma nello stesso tempo annienta le battaglie già vinte con l'indipendenza.
Assopisce il neurone, impigrisce.
Se non sono forzata dagli eventi, io mi lascio cullare dalla mia nullafacenza, senza ritorno, senza possibilità di redenzione.

Una cosa, però, ho imparato laggiù, in quel posto bruttino e provinciale che ho chiamato Casa per quattro mesi, che nessuna pigrizia, nessun vizio e nessuna brutta abitudine riuscirà a strapparmi via.
Che, prima di tutto, devo fare i conti con me.
Che poco importa fare i conti con gli altri, se prima di tutto non ci sei tu.
Che non c'è nessuno che io debba temere più di me, del mio giudizio e del mio benessere.
Cosa che non avevo mai calcolato.
Il mio giudizio era sempre una conseguenza degli eventi, della catena di persone che bisogna compiacere nella vita perché-sai-ormai-siamo-qui-e-dobbiamo-sorridere, dell'essere a posto davanti a chi sai che ti ha sempre giudicata e sempre lo farà, o forse lo farà solo nella tua testa.
Insomma, sono sempre stata in balia di una lunga serie di pugnette mentali che si fa sempre una fatica boia a lasciarsi alle spalle.
Non dico di averle seminate in terra statunitense e lasciate lì a beneficio del prossimo, perchè spesso me ne porto dietro ancora una svariata quantità, ma sono pugnette più consapevoli.


Saran traguardi, no?

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